venerdì 4 aprile 2008


IL PICCOLO 31 MARZO 2008

Alcuni dipendenti di una società di trasporto hanno cercato sabato di forzare l’ingresso dello scalo

I camionisti: «Ci sentiamo sequestrati»

«Ci portano da mangiare ma nessuno sa dirci quando tutto questo finirà»

«Sono tre notti che dormo nella cuccetta del mio Tir bloccato dallo sciopero. Ho ancora un po’ di acqua da bere, mi hanno portato qualcosa da mangiare. Non ho però abiti e magliette per cambiarmi e non so dove lavarmi la faccia. Inoltre nessuno mi dice quando questa agitazione finirà ed io potrò mettere in moto il mio Tir».
Un giovane autista tedesco, fasciato da un paio di jeans di pelle nera e con un aquilotto d’argento fissato alla grossa collana che esce dal giubbotto dello stesso colore, racconta le sue vicissitudini di marinaio d’autostrada costretto a una prolungata inattività. «Ero partito giovedì da Essen e venerdì sono arrivato a Trieste. Dovevo scaricare e rientrare. Invece sono qui, sequestrato e senza alcuna notizia».
Il suo slang anglo-deutsch è facilmente comprensibile ma talvolta alle parole subentrano i gesti. «Schlafen» equivale al gesto delle mani giunte poste sotto l’orecchio destro. Wasser, Tir, autobahn, strike. haven, workers, truck.
Il camionista tedesco passeggia davanti all’ingresso del bagno Ausonia con due colleghi turchi, accanto. Anch’essi sono bloccati, anch’essi sono in attesa di notizie. «Ci hanno spiegato che un operaio ha perso una gamba sotto le ruote di un treno e che lo sciopero nasce da questo incidente».
Qualcuno li ha dunque informati e la voce è corsa tra le file di Tir posteggiati sotto il primo sole. I camion hanno le porte dei posti di guida aperte. Dai finestrini sbucano sacchi a pelo e coperte. Altri autisti riuniti sotto la «prua» dei loro mezzi cucinano su fornelli da campeggio improvvisate pietanze. Molti telefonini sono in funzione, le radio sono spente.
Un furgone finestrato targato Trieste con la vistosa scritta «American Western Store» si ferma a qualche metro di distanza dall’ingresso blindato del Porto nuovo. Ne scendono quattro uomini coi baffi e con enormi sporte legate con spago e nastro adesivo. Si guardano attorno e non hanno esitazioni. Si arrampicano facilmente sulla rete metallica alta quattro metri che separa l’area portuale dalla città. Un attimo e sono dall’altra parte coi loro enormi pacchi. Camminano tra i camion bloccati e puntano verso lo scafo del traghetto Und Trieste, fermo alla banchina.
Un marinaio guarda i quattro che si allontanano con le sporte e sorride. Non c’è nessuno, nè in divisa, nè in borghese a controllare cosa sta accadendo in questa terra di nessuno. Sabato scorso, nel pomeriggio, gli autisti di una società di trasporto hanno cercato di forzare lo stesso ingresso. Volevano lavorare, forse non avevano capito la gravità della situazione. Da 29 anni non accadeva in porto un incidente sul lavoro simile a quello di venerdì. Hanno fatto la voce grossa ma sono stati bloccati e allontanati. Ieri era domenica e nessuno ha pensato di presidiare gli ingressi del porto bloccati dallo sciopero. Dall’interno all’esterno non si passa e altrettanto accade nel verso opposto. È però disponibile la rete metallica.
Duecento metri più in là appena percorsa la curva tutto è «normale». Cani che corrono privi del guinzaglio, auto ferme con musica ad alto volume, parcheggi quasi deserti. Di fronte alla piscina terapeutica, davanti all’ingresso della vecchia stazione della Transalpina più di 50 ragazze e ragazzi attendono. Accanto a ognuno grossi pacchi simili a quelli che gli autisti turchi alcuni minuti prima avevano fatto filtrare oltre la rete del porto.
Arriva un furgone, ne escono tre giovani, sfoderano una bilancia. Le donne si mettono in fila e inizia la pesa dei fardelli. Tutti quei pacchi finiscono prima nel furgone, poi in Moldavia. Famiglie, amici, fidanzati, figli. Il furgone compare davanti alla stazione ogni domenica verso le 15-15.30. Arriva da Padova dove altri immigrati moldavi hanno depositato i loro regali da recapitare in patria. È un servizio postale «privato», efficiente e affidabile. Senza pubblicità e senza rumore.
c.e.

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