venerdì 4 aprile 2008




IL PICCOLO 01 APRILE 2008

La giornata caratterizzata da toni accesi e pesanti critiche ai sindacati durante l’assemblea delle maestranze

La rabbia dei portuali: «Salari bassi e troppi rischi»

Percorsa fino all’ultimo l’ipotesi di continuare la protesta in assenza di garanzie

di Tiziana Carpinelli

Arrabbiati. Perchè le loro paghe sono «scandalosamente basse». Stufi. Perchè gli infortuni continuano a susseguirsi in porto. E delusi. Perchè le loro voci per troppo tempo sono rimaste inascoltate.
Con questa alternanza di stati d’animo, ieri mattina, i portuali di Trieste sono tornati a protestare sotto le finestre di Palazzo del Governo, in piazza Unità d’Italia. Più volte hanno alzato la voce. Si sono lamentati per il salario basso, che li obbliga a estenuanti doppi turni, ma anche per l’aumento del carico di lavoro e la progressiva riduzione degli organici, a tutto scapito della sicurezza. Più tardi, durante l’assemblea indetta nel pomeriggio da sindacati e maestranze per verificare, punto per punto, in una logorante via crucis, l’intesa, si sono di nuovo levati fischi e parole pesanti.
Ormai è chiaro a tutti che il tempo degli accordi, della ragione, della pacata trattativa sono morti. I portuali non chiedono, bensì esigono, maggiori tutele, accompagnate alla garanzia del rispetto dei diritti sul posto di lavoro. Non sono disposti a retrocedere di un millimetro sulla linea tracciata sabato, quando è stato proclamato lo sciopero a oltranza fino alla stipula del Protocollo per la sicurezza. O così o niente: non saranno soddisfatti finchè non avranno portato a casa il risultato. «Quando tiri troppo la corda, si creano per forza queste situazioni - scuote la testa Giorgio Bursich, 51 anni, 30 dei quali passati a lavorare in porto come carellista - La paga è bassissima: io guadagno 1200 euro al mese, ma unicamente perchè ho tanti anni di anzianità alle spalle; i miei colleghi, invece, riscuotono una busta decisamente più leggera della mia. Io, poi, riesco a tirare avanti perchè sono solo...Ma chi ha una famiglia da mantenere, come diamine dovrebbe fare? Ho la schiena a pezzi a causa dell’ernia, come la maggior parte dei miei compagni: questa non è vita».
«Ho un mutuo da pagare e gli alimenti da versare per mia figlia - afferma Alessandro Zerial, 45 anni, da 7 in porto -: percepisco uno stipendio che oscilla tra i mille e i 1300 euro al mese, ma alla fine, ciò che mi resta in tasca, sono 500-600 euro. In cambio, lavoro al rizzaggio dei traghetti, non so cosa voglia dire avere una domenica libera e sgobbo da mattina a sera. Tre mesi fa mi sono pure rotto un polso, inciampando su una catena». «Sedici anni fa ho subito un grave infortunio e me la sono cavata con un taglio di 20 centimetri sulla testa - racconta Giampiero Onor, 47 anni - L’altro giorno, dopo l’ultimo infortunio, il direttore dell’Adriafer ha detto che per fare quel tipo di lavoro il numero ideale di persone da impiegare è di tre unità. Non sono d’accordo: è dal ’79 che sono in porto e per quel che mi risulta, fino a 7 anni fa quell’incarico era eseguito da 5 o 6 persone. Negli ultimi anni, i diritti sono stati svenduti per due lire e questo è l’esito. Una volta la formazione era reale: gli operai anziani seguivano i giovani e li ”addestravano” ora tutta questa esperienza è andata perduta. Si punta solo al ribasso: le imprese cercano di tagliare i costi riducendo gli organici e gli operai si ritrovano coi salari da tempo bloccati, quindi insufficienti a mantenere il potere d’acquisto».
«Prima che andasse in pensione, della sicurezza, si occupava il signor Cesca - ricorda Carlo F., 34 anni, da 10 in porto -: un responsabile molto severo e preciso. Tutto filava liscio. Poi sono iniziati i cambiamenti, i numeri degli organici sono calati e ti trovi a litigare coi turchi per il modo di scaricare la merce, molto rischioso in assenza di personale specificatamente adibito. La mia paga è di 870 euro: per arrotondare sono costretto a lavorare anche di domenica e a fare doppi turni. Per fortuna non ho figli, altrimenti non saprei come sfamarli». «Gli stipendi sono fermi da 8 anni - conclude Bruno D. - e per chi, come me, deve pagare ogni mese un mutuo da 600 euro è dura».

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